Quantità o qualità?

Tutto ciò che, nella vita di ogni giorno, ci circonda è, in qualche modo, legato ai numeri.

Orari da rispettare, obiettivi da raggiungere, logiche razionali, tutto quello che ci passa per la testa ha a che fare, direttamente o meno, con i numeri.

Chiunque intraprenda un’esperienza o si avvii alla ideazione di un progetto è inevitabilmente portato a fare dei calcoli. I numeri sono una necessità e questo è un fatto di cui si rende conto chiunque, anche chi, come me, non abbia mai provato grande amore per la Matematica.

I numeri sono, dunque, importanti, ma c’è una cosa ancora più importante: non esserne prigionieri. Non considerare vincolato ai numeri qualsiasi risultato da perseguire, non subordinare ai numeri il buon fine di un’impresa, piccola o grande che sia. Verosimilmente, il valore di un successo non si dovrebbe misurare solo in base al ‘punteggio’ ottenuto; esistono altri criteri di giudizio, sicuramente più empirici, che possono restituirci altrettanto bene, e in alcuni casi anche meglio, la dimensione di ciò che stiamo facendo.

Ci ritroviamo a confrontarci continuamente con domande tipo: “Quante ore hai lavorato?”, “Quante ore hai studiato?”, “Quanti libri leggi all’anno?”, “Quanto tempo hai impiegato per il tuo viaggio?”, “Quanti giorni trascorrerai in ferie?”, “Quante volte alla settimana riesci a fare attività fisica?”. Impostazione perfettamente legittima e assolutamente in linea con il mondo in cui viviamo, organizzato in base a tempi da rispettare e ritmi da sostenere, ma, volendo, potremmo concederci un attimo per fare un esperimento: ogni volta che ci viene in mente una frase che inizia con la parola quanto, proviamo a formularne una analoga il cui “incipit” sia la parola come. Cominceremmo a ragionare tenendo presente un parametro che, quasi sempre, si rivela di gran lunga più importante della quantità: la qualità.

Già, perché, a ben pensarci, molto spesso, è la qualità delle cose che attribuisce ad esse il reale valore che hanno, sia in positivo che in negativo. Ricordate l’ultima volta che avete trascorso la serata in compagnia di una persona piacevole e affascinante? Probabilmente avrete avuto l’impressione che si sia conclusa troppo presto, avreste desiderato che durasse di più perché, sentendovi bene, quelle ore vi sono sembrate un tempo molto breve. Ma provate a pensare quanto lungo possa risultare un solo minuto se siete seduti su una stufa…

 

Molti anni fa, giovane virgulto e atleta di belle speranze desideroso di migliorare le performance, mi avvicinai alla disciplina dell’alimentazione corretta.

Iniziando a praticare quella che poi sarebbe diventata la mia professione, scelsi di fare attenzione a non discostarmi mai da quella che è una ‘visione del gioco’ qualitativa, nonostante il fatto che, nella materia di cui mi occupo, sia il concetto di quantità a farla da padrone.

Grazie ad un lavaggio del cervello pluridecennale, perpetrato, anche in buona fede, dai cosiddetti esperti del settore, complice un supporto massiccio dei media, mi ritrovo ogni giorno a dovere rispondere a domande come: “Quante calorie dovrei assumere, al massimo?”, “Quanti chili dovrei perdere per ritornare in forma?”, “Quanto  tempo ci metterò per raggiungere un determinato peso?”.

Ora, se è vero che, perfino nell’arte, il principio di ‘armonia’ come quello di ‘estetica’ possono essere sottesi da parametri abbastanza precisi o addirittura da rapporti matematici, non ce lo vedo proprio Prassitele che, dando forma al suo Satiro Danzante, mette mano, di tanto in tanto, alla calcolatrice tascabile per controllare la riuscita della sua opera.

Lungi da me, naturalmente, paragonarmi ad uno scultore o ad un artista di qualsiasi genere, cionondimeno ritengo che anche dottrine quali la nutrizione, l’alimentazione corretta e la Medicina stessa rendano risultati migliori se vengono interpretate come un’arte e non solo come una scienza e la modesta esperienza che ho acquisito in questo campo, oltre a giustificare il fatto che la mia barba stia inesorabilmente cedendo al grigio, mi è di supporto quando azzardo simili affermazioni che possono apparire sovversive, almeno dal punto di vista accademico.  Intendo dire che l’approccio a una disciplina di questo genere non dovrebbe essere, come capita sovente, sterilmente nomotetico, ma giovarsi anche e soprattutto di ciò che troppo spesso viene ignorato: quella valenza caratteristica, sostanziale, valutativa o, in una sola parola, qualitativa.

Vedo continuamente persone che, decise a migliorare la propria forma fisica, sono convinte che il calo indiscriminato di peso sia l’unica strada possibile per ottenere il proprio scopo. Ed ecco che intere legioni di sventurati si ritrovano, da un giorno all’altro, a diminuire drasticamente (e pericolosamente) le quantità di cibo assunto – sembra talmente logico che per ridurre il peso si debbano ridurre le calorie! – e, per i più zelanti, magari ad intraprendere attività fisiche troppo intense che, come unico effetto, portano ad un eccessivo sovraccarico un sistema già indebolito dall’alimentazione insufficiente. Risultato: nel migliore dei casi entro i primi giorni di ‘passione’ il soggetto capisce che ‘stare a dieta’ non fa per lui e cede alle lusinghe degli amici che lo portano da una pizzeria all’altra durante il week-end. Negli individui più tenaci, invece, prevale, almeno inizialmente, l’orgoglio che spinge l’infelice a continuare a testa bassa nell’impresa esponendo, così, ad un vero e proprio rischio l’apparato cardiovascolare, salvo poi, dopo qualche settimana di autolesionismo, verificare che il calo ponderale si è inderogabilmente arrestato e nulla sembra poterlo smuovere da questa impasse.

Analisi: il concetto di riferimento è stato la quantità – quantità di peso, quantità di cibo, quantità di sforzo, quantità di tempo – quando, al contrario, sarebbe stato più utile concentrare l’attenzione sulla modalità.

La trappola è ben congegnata ed è fin troppo facile cadervi: se tendo ad ingrassare significa che sto mangiando più di quanto il mio metabolismo possa utilizzare, di conseguenza, se voglio dimagrire, dovrò assumere meno calorie di quante ne occorrano cosicché, invece di accumulare sotto forma di grasso tutte le eccedenze energetiche, il mio organismo vada a reclutare proprio dalle riserve quello che non gli fornisco col cibo …giusto?

Sbagliato!

Per cominciare dovremmo mettere a fuoco quella che è la differenza, nemmeno così sottile, tra ‘perdere peso’ e ‘dimagrire’. Se riusciamo fare questo, avremo colto perfettamente l’essenza del tema trattato: “quantità o qualità?”.

Il peso, compreso quello corporeo, non è altro che una cifra rimandataci da una bilancia. Un numero. Esiste più di un modo per fare sì che questo numero diventi più basso e quello che ci viene in mente per primo è ridurre la quantità di cibo consumato. Sembra facile; in fondo sarebbe sufficiente riuscire a resistere alla sensazione di fame che, pervadendoci, ci rende irritabili, senonchè, come si è detto, dopo un paio di chili persi il meccanismo si ferma. Succede perché l’organismo, programmato per la sopravvivenza, non ‘sa’ che noi non vogliamo mangiare, ma ‘pensa’ che non possiamo mangiare, come durante un periodo di carestia, perciò corre ai ripari facendo debitamente rallentare il metabolismo; in sostanza riduce i consumi per adattarli alle disponibilità.

Ecco, allora, che la deduzione logica (!) che ne consegue è: “Forse sto mangiando ancora troppo…” e quindi ci sottoponiamo ad un’ulteriore taglio di calorie. L’organismo ancora una volta si adatta, il sistema va in stallo, e così via.

Si potrebbe continuare fino al punto di pensare – novelli fachiri – al digiuno totale e continuativo che certamente produrrebbe, prima o poi, un calo di peso …soprattutto post-mortem!

Per comprendere che cosa è andato storto è utile notare che il nostro corpo è composto da diversi tipi di tessuti, due fra i quali, più degli altri, sono soggetti a variazioni di quantità: il tessuto adiposo (grasso sottocutaneo) e il tessuto muscolare (componente attiva dell’apparato locomotore). La quantità di energia di cui ogni organismo necessita (fabbisogno calorico giornaliero) è determinata, per una parte, dal dispendio dovuto al livello di intensità di attività fisiche (e intellettuali) compresa la digestione e il metabolismo dei cibi, e altre funzioni indotte, per l’altra parte dal fabbisogno minimo teorico, indispensabile a mantenere in funzione l’organismo in condizioni di riposo assoluto e a temperatura costante per 24 ore (metabolismo basale). Tanto più grande è la quantità di tessuto muscolare presente nella composizione corporea tanto più alto sarà il valore del metabolismo basale. In altre parole la quantità di massa muscolare di cui è composto in un organismo è direttamente proporzionale alla quantità di calorie che devono essere consumate anche a riposo. Viceversa quando si riduce l’apporto calorico giornaliero l’organismo è costretto a ‘bruciare’ tessuto muscolare per due ragioni: ridurre i consumi a fronte di una riduzione dei rifornimenti e ricavare un po’ di energia riconvertendo in glucosio la parte proteica del muscolo (gluconeogenesi). In sostanza ridurre la quantità di cibo fino a renderla insufficiente induce una deplezione di muscoli molto più che di grasso. Il calo ponderale, a volte importante, che ne consegue rappresenta un deperimento, non un dimagrimento. Tanto varrebbe amputarsi una gamba con la certezza di perdere una ventina di chili in breve tempo; purtroppo non saremmo né più magri, né più agili – una provocazione che spesso uso per evidenziare come il modificare la quantità non significhi necessariamente migliorare la qualità.

Fondamentale anche sottolineare il fatto che, una volta abbandonata questa pratica dai risvolti vagamente masochistici, ritorneremmo di colpo ad assumere una quantità di nutrienti che, rapportata alla lentezza del ritmo metabolico recentemente innescata, provocherebbe un nuovo accumulo di tessuto adiposo (non di muscolo) che, oltre a ricondurci velocemente al peso iniziale contribuirebbe ad aumentare la nostra percentuale di grasso corporeo.

Se, come è evidente, non è salutare l’eccesso di alimentazione, non è altresì necessario e nemmeno utile soffrire fame e privazioni per cercare di migliorare la propria condizione.

La strada che ci porterà all’obiettivo è, ancora una volta, quella della qualità. In questo caso l’attenzione alla qualità delle calorie si rivela molto più importante del computo matematico delle stesse. C’è una sostanziale differenza nel nutrirci con acqua, pesce, uova, carne, frutta, cereali, verdura rispetto ad uno stile di vita che privilegi pasti a base di dolciumi, patatine fritte, snack e alcolici. A questo punto si dovrebbe accennare anche all’opportunità di avere un occhio di riguardo al modo di associare i vari nutrienti che compongono i nostri piatti, ma forse mi sono già spinto un po’ troppo fuori tema…

Numeri, quantificazioni e calcoli sono indispensabili, ma non sono il solo veicolo che possa condurre alla soluzione dei problemi. Sono necessari, ma non sufficienti. L’approccio con cui ci accostiamo a questioni di qualsiasi genere dovrebbe forse essere un poco più olistico, considerando e, quando sia il caso, anche privilegiando, tutte le altre possibili strade – percorsi che non devono necessariamente essere alternativi, ma possono, in una visione più costruttiva, essere ritenuti complementari. D’altra parte, però, anche il punto di vista qualitativo non deve assumere un carattere assolutistico, ma possedere il temperamento mite dell’inclinazione e non del dogma e rimanere aperto a qualsiasi integrazione possa contribuire ad un più diretto e completo raggiungimento dell’obiettivo. Per centrare un bersaglio occorre valutare distanza, visibilità, direzione del vento e molti altri fattori, ma, prima di ogni altra cosa, è necessario l’istinto di un tiratore.

 

Enrico M. Grilli
Articolo pubblicato sulla rivista “Graphie” (n.46 anno 2009)